Come inizia il romanzo “Radici Aeree”, da poco edito da Leucotea? Inizia con una lettera, che è questa qua.

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Kuala Lumpur, 5 giugno 1990

Anno del Cavallo

Cara Ni,

ti scrivo per la prima volta da quando è successo. Per farlo, ho avuto bisogno di un pretesto forte, un anniversario, il primo, da quel giorno. L’anniversario mi ha colto però in un luogo nuovo, anche per me: come spesso mi succede, sono lontano da mamma e dalla nostra casa.

Mi trovo a Kuala Lumpur, in una dozzinale stanza d’hotel, a studiare la mappa del centro città che ho chiesto, come sono solito fare, alla reception. Come sicuramente ricorderai da quando ti interrogavo sulle capitali asiatiche, Kuala Lumpur è quella della Malesia.

La Malesia è una terra fatata, che poggia il tronco sulla terraferma, nella penisola delle Andamane, e la testa in quella giungla insulare intricata che è il Borneo. Il suo corpo anela continuamente alla ricongiunzione, è questo il suo feng shui, e anche la sua maledizione.

Su questa mappa, Kuala Lumpur non assomiglia per nulla a quello che il suo nome significa: “confluenza fangosa”. Lo so, Ni, a cosa stai pensando: non è un gran nome per una città, e sono sicuro che tu ne avresti trovato uno migliore. Avresti preso un foglio di carta di soia, di quelli tagliati in maniera irregolare, poi ti saresti tuffata nella scatola d’avorio che ti aveva regalato nonna, ne avresti estratto una dozzina di pennarelli e avresti fatto un disegno, che solo tu avresti potuto comprendere del tutto. Poi, alzandoti, avresti esclamato decisa qualcosa come: “Questo è il fiore di loto che mangia la montagna dorata. Anzi, no”, avresti aggiunto guardando le nostre facce contrite, “non la mangia, la assaggia solo ma non gli piace, e allora ritorna a giocare nello stagno del re”. Io avrei preso il grosso pennello dallo sgabuzzino comune, l’avrei umettato e ti avrei portata sul balcone. Lì, premendo con forza sul pavimento di pietra cotta, ti avrei insegnato come sintetizzare quello che avevi appena detto in pochi ideogrammi. Tu ne avresti estratto un nome, e sarebbe stato un nome bellissimo.

Ma non è andata così, e non è la prima volta che le cose non vanno come dovrebbero andare.

Qualcuno decise dunque il nome di Kuala Lumpur, qualcun altro decise che quella zona sarebbe stata destinata alle ricerche minerarie, qualcun altro ancora decise che, poco lontano da lì, sarebbe nato il porto commerciale più importante dell’area.

La Malesia è un Paese musulmano: tutti credono in un Dio chiamato Allah e che Maometto, un signore vissuto parecchi secoli fa, è il suo profeta. È una religione molto potente, e il suo testo sacro, il Corano, ha saputo creare immagini di una forza e di una bellezza viste raramente nel corso della storia della letteratura.

In Malesia ci sono sette re, uno per ogni provincia, e ciascuno di essi a rotazione guida il Paese per un certo periodo.

Il mio hotel è nel pieno centro di Chinatown, un quartiere che ospita la nostra numerosa comunità di immigrati, e non è lontano da dove, com’è indicato nella mappa dell’hotel, sorgeranno le Petronas Tower, che – dicono – saranno pronte entro qualche anno, e che saranno l’orgoglio di tutto il Sud Est asiatico. Dicono anche che ci vorranno quarantamila tonnellate di acciaio, che è una quantità che non riesci a immaginare, piccola, e non riesco neanch’io. Dicono che dentro ci saranno trenta ascensori, quelle scatole di ferro che abbiamo visto quella volta che siamo andati insieme dalla zia Qing, e che per poco non scassavi a forza di schiacciare tasti a caso. Dicono che un giorno anche in Cina costruiremo cose così grandi e spettacolari, e dicono che Shanghai diventerà più importante di Pechino, Londra, Parigi e New York, quel posto dove ci sono le altre due torri gemelle.

Non vedo l’ora di vedere insieme questo nuovo mondo di meraviglie. È passato solo un anno e per me sono stati almeno due secoli.

Ti aspetto, piccola.

Papà